SPAZI DI RESISTENZA

Claire Fontaine

Autore: Laura Giudici

Claire Fontaine e Adriano Pedrosa hanno collaborato per la prima volta nel 2009 nel contesto di una residenza di due mesi a San Paolo. Il collettivo era nato qualche hanno prima, nel 2004, come un’identità artistica emersa dall’incontro di due persone, Fulvia Carnevale e James Thornhill, che scelgono però di rinunciare alla propria soggettività per creare una nuova entità autonoma. La rimessa in questione delle nozioni di autorialità e genio individuale è quindi fondatrice della pratica artistica di Claire Fontaine, che, come conseguenza naturale, investiga in profondità anche i concetti di identità e alterità. Questa riflessione costituisce il nucleo di una serie di sculture al neon in vari colori che riportano in diverse lingue le parole »Stranieri Ovunque« e che accompagna il collettivo fin dalla sua nascita.

L’espressione è stata ripresa dal nome di un omonimo collettivo torinese che nei primi anni Duemila combatteva contro il razzismo e la xenofobia in Italia, e Pedrosa ha a sua volta deciso di utilizzarla come titolo e quadro concettuale della Biennale Arte 2024. A proposito del significato di questa locuzione, il curatore spiega: »L’espressione Stranieri Ovunque ha più di un significato. Innanzitutto, vuole intendere che ovunque si vada e ovunque ci si trovi si incontreranno sempre degli stranieri: sono/siamo dappertutto; in secondo luogo, che a prescindere dalla propria ubicazione, nel profondo si è sempre veramente stranieri.«1 Anche la curatrice Letizia Ragaglia ha messo in evidenza questo aspetto, affermando: »(I lavori della serie Stranieri Ovunque) sottolineano come i problemi di immigrazione ed emigrazione siano legati non solo a fattori economici e politici, ma anche esistenziali. Come già sottolineato da Julia Kristeva in Étrangers à nous-mêmes, nel momento in cui ci rendiamo conto di non essere solo una massa gloriosa, nel momento in cui scopriamo stranezze e incoerenze nostre, noi singoli cittadini diven­tiamo ›stranieri a noi stessi‹.

Le scritte dialogano con i diversi contesti in cui si collocano (...); si può prendere coscienza dell’inadeguatezza o dell’estraneità anche nell’ambiente in cui si è cresciuti, se è governato da regole che non hanno senso.«2 Da entrambe le riflessioni emerge una caratteristica centrale di queste sculture luminose, ossia la loro facoltà di dare un senso nuovo allo spazio in cui si trovano e, al contempo, trasformare la nostra percezione di questo stesso spazio. 

Portrait of Claire Fontaine (02.2024).
Photo: Fausto BRIGANTINO © Studio Claire Fontaine, Courtesy of Claire Fontaine 

Claire Fontaine

Il Mediterraneo è un potenziale paradigma per il nostro futuro: un crogiolo di civiltà, un ambiente naturale delicato che plasma la vita quotidiana di tutti. Crediamo che debba essere osservato, compreso e salvato da tutto ciò che minaccia di distruggerlo.

Installation view Galerie Mennour: Foreigners Everywhere (2004-24), 07.10. 2023. Photo: Julie Joubert
© Studio Claire Fontaine, Courtesy of Claire Fontaine and Mennour, Paris

Siamo con voi nella notte (2007), Blue Led letters, framework, transformers and cables. 500 × 11,000 × 100 mm. Installation view: Museo Novecento, Piazza di Santa Maria Novella 10, Firenze (Dal 12 Dicembre 2020 al 11 Marzo 2021). Photo: Leonardo Morfini, © Studio Claire Fontaine, Courtesy of Claire Fontaine

STOP, 2023, Red rope lighting, clips, cable ties and cabling. Dimensions variable. Photo: Stefan Korte © Studio Claire Fontaine, Courtesy of Claire Fontaine and Galerie Neu, Berlin

Foreigners Everywhere (Tibetan), 2010, Installation view: Etrangers Partout (QDM), Nuit Blanche, Belleville, Paris FR 02/02.10’10. Photo: Florian Kleinefenn © Studio Claire Fontaine, Courtesy of Claire Fontaine and Mennour, Paris

SPAZI DI AZIONE SOCIO-POLITICA
Insieme ad alcuni altri suoi lavori, Claire Fontaine contribuisce alla Mostra Internazionale con sessanta versioni di Stranieri Ovunque, che sono presentate sotto le Gaggiandre, le due tettoie acquatiche che si trovano all’Arsenale. L’imponente installazione ha un impatto visivo e simbolico molto forte: queste parole, trasformatesi in sculture luminose, diventano anche riflessi che galleg­giano sull’acqua, presenze fantasmagoriche e fluttuanti, metafore sia della natura indefinita e in constante metamorfosi dell’identità che del suo carattere molteplice. Soffermandosi sul significato del termine »straniero« in diverse lingue, Adriano Pedrosa osserva: »Il termine italiano ›straniero‹, il portoghese ›estrangeiro‹, il francese ›étranger‹ e lo spagnolo ›extranjero‹ sono tutti collegati sul piano etimologico rispettivamente alle parole ›strano‹, ›estranho‹, ›étrange‹ ed ›extraño‹, ovvero all’estraneo (…). Secondo l’American Heritage e l’Oxford English Dictionary, il primo significato della parola ›queer‹ è proprio ›strange‹ (›strano‹), pertanto la Mostra si svilupperà e si concentrerà sulla produzione di ulteriori soggetti connessi: l’artista queer, che si muove all’interno di diverse sessualità e generi ed è spesso perseguitato o messo al bando; l’artista outsider, che si trova ai margini del mondo dell’arte, proprio come l’autodidatta o il cosiddetto artista folk o popular; l’artista indigeno, spesso trattato come uno straniero nella propria terra. La produzione di questi quattro soggetti sarà il fulcro di questa edizione e andrà a costituire il Nucleo Contemporaneo.«3 La volontà del curatore d’includere voci e punti di vista spesso marginalizzati desta in Claire Fon­taine la speranza che questo cambiamento di prospettiva »allarghi i nostri orizzonti e trasformi l’immagine che gli artisti inclusi nella Biennale hanno di loro stessi e forse anche l’immagine che i visitatori abituali hanno della Biennale di Venezia.«4 La scelta di adottare una nuova posizione nei confronti della società, una posizione politicamente attiva e sovversiva, corrisponde d’altron­de al proposito centrale del collettivo. La sua pratica è infatti animata dal desiderio di attivare il potere e gli spazi d’azione di una creazione artistica impegnata sul piano socio-politico. Inoltre, come lo suggerisce Letizia Ragaglia, il suo lavoro chiede anche a noi »di riconsiderare la nostra posizione sia come consumatori d’arte che come membri della società contemporanea, che diamo per scontate molte situazioni.«5

BECOME A SEA
Il contributo di Claire Fontaine alla Biennale è anche intimamente legato alla mostra Become a Sea, che ha avuto luogo alla Galerie Neu a Berlino tra dicembre 2023 e febbraio 2024. Questo progetto espositivo è stato ripensato dal colletti­vo dopo la violenta ripresa degli attacchi israeliani nei confronti della comunità palestinese in seguito agli eventi del 7 ottobre 2023. Il conflitto israelo-palesti­nese occupa da sempre un posto importante nel suo lavoro e, siccome la mostra di Berlino aveva già come tematica principale il Mediterraneo come testimone d’eccellenza della crisi migratoria internazionale e dei numerosi conflitti che ca­ratterizzano tristemente il nostro giovane secolo, era per loro una conseguenza naturale estendere le loro riflessioni anche alla questione palestinese.
Il titolo della mostra riprende quello di un testo del poeta mistico persiano Jalal ad-Din Rumi (1207-1273). Qui si legge: »Non affliggetevi se ogni forma che vedete, ogni verità mistica che ascoltate, un giorno svanirà. Dalla Fonte sgorga sempre acqua. Né la Fonte né l’acqua smetteranno mai di scorrere, quindi perché affliggersi? Il vostro spirito è una fontana; da essa sgorgano fiumi e fiumi, elimi­nate per sempre qualsiasi lamentela e continuate a bere dall’acqua. Non abbiate paura. L’acqua è illimitata.«6 Questo passaggio racchiude un chiaro messaggio di speranza, ma nel contesto geopolitico attuale, caratterizzato da profonde crisi e numerose minacce, due domande sorgono spontaneamente alla mente. Come possiamo affrontare e superare le nostre paure? E l’acqua è veramente illimitata?

Alla seconda domanda fa eco il lavoro La mer à boire (2023), un serbatoio con­tenente acqua potabile con 38 grammi di sale per litro, la stessa concentrazione salina del Mar Mediterraneo. Queste cisterne blu, che si trovano spesso sui tetti a terrazza delle case, sono degli elementi architettonici caratteristici della regione mediterranea ed evocano in maniera esplicita una condizione di privazione che di questi tempi è immediatamente associata all’occupazione della Striscia di Gaza, dove gli impianti di desalinizzazione non funzionano più e l’unica acqua potabile disponibile è salata. Nello spazio espositivo della Galerie Neu, un lavandino era collegato al serbatoio e rappresentava la materializzazione dell’invito a diventare mare. Il pubblico poteva attingere da questa fontana, attraverso un atto corporale che si trasformava in un gesto di empatia, ma anche in un’azione trasformativa sia fisica che mentale. L’allusione all’espressione francese »ce n’est pas la mer à boire« – »non è come bere il mare« – nel titolo dell’opera suggeriva l’idea che una trasformazione è senza dubbio difficile, ma non impossibile, e sembrava fare eco alla dimensione di speranza presente nel testo di Rumi.

UN’ESPERIENZA INCARNATA
La dimensione sensoriale e introspettiva permeava la mostra berlinese nel suo insieme. Il pubblico era accolto dall’insegna luminosa STOP (2023), un richiamo della segnaletica rudimentale presente talvolta nei parcheggi. Di questo lavoro Claire Fontaine dice: »La sua forma è scarna, fragile e semplice, racchiude la poesia delle cose fatte con mezzi poveri. In questa mostra è un’opera che mette in guardia lo spettatore e lo invita a fermarsi a riflettere su ciò che vede e non vede.«7 L’aspetto della percezione visiva era centrale anche nell’insegna luminosa sculturale rappresentante l’emoji del fuoco, spesso usato come commento positivo, ma di questi tempi inevitabilmente anche evocatore delle numerose guerre e degli incendi causati dal cambiamento climatico che imperversano in varie regioni del mondo. Se la dimensione gustativa era invece fornita dall’installazione La mer à boire, l’aspetto olfattivo era implicitamente suggerito da Mediterranean Sea (Unburnt / Burnt) (2023), un rilievo sculturale realizzato con fiammiferi impiantati nel muro e pensati per essere successivamente accesi. Esso rivelava i contorni negativi e le coste dei Paesi che racchiudono il Mediterraneo e mostrava le isole come spazi vuoti. Questo mare simbolicamente infuocato era una chiara allusione al fatto che, in quelle stesse acque, centinaia di migranti perdono la vita ogni mese e i conflitti infuriano per il controllo dei confini liquidi.

Tutte queste riflessioni occupano un posto di rilievo anche nel loro con­tributo alla Biennale, così come l’interesse per lo spostamento fisico ed emotivo dei corpi e delle persone. A proposito dell’immagine che hanno del Mediterraneo e della relazione che intrattengono con questo spazio, essi osservano: »Il nostro rapporto con il Mediterraneo come area geografica, nebulosa culturale e realtà emotiva ed estetica è di amore viscerale. Vivia­mo in un’epoca di conflitti e di recrudescenza della violenza coloniale e il Mediterraneo ne è uno degli epicentri. Sfollamento, razzismo e patriarcato sono molto presenti in quest’area, che subisce anche l’impatto ambientale dello sfruttamento turistico. Il Mediterraneo è un potenziale paradigma per il nostro futuro: un crogiolo di civiltà, un ambiente naturale delicato che plasma la vita quotidiana di tutti. Crediamo che debba essere osservato, compreso e salvato da tutto ciò che minaccia di distruggerlo.«8
Per Claire Fontaine il Mar Mediterraneo rappresenta tuttavia anche uno spazio di collettività e speranza. Un qualche anno fa, lei stessa ha deciso di trasferirsi sulle sue rive, a Palermo, una città che ama in tutta la sua com­plessità, ma anche per la sua resilienza. Questa scelta è in linea con uno dei principi guida della sua pratica artistica, che consiste nell’offrire ai luoghi e alle persone che si tro­vano ai margini delle narrazioni dominanti una visibilità nuova e l’opportunità di essere percepiti diversamente. Anche il suo contributo al Padiglione della Santa Sede parte proprio da questa volontà: i suoi interventi, concepiti espressamente per il luogo, agiscono nello spazio del carcere femminile come commenti sull’ambiente e sul modo in cui i corpi delle guardie e del pubblico attraver­sano questo spazio, oltre che come indicatori della nostra tendenza a normalizzare l’esclusione e lo sfruttamento.

1 Estratto del testo di presentazione della Biennale Arte 2024 di Adriano Pedrosa, disponibile all’indirizzo URL: https://www.labiennale.org/it/news/biennale-arte-2024-stranieri-ovunque-foreigners-everywhere.

2 Letizia Ragaglia, »M-A-C-C-H-I-N-A-Z-I-O-N-I«, in: Claire Fontaine. Foreigners Everywhere, MUSEION Bozen | Bolzano (ed.), Cologna: Verlag der Buchhandlung Walther König, 2012, p. 19 (traduzione mia).

3 Estratto del testo di presentazione della Biennale Arte 2024 di Adriano Pedrosa, disponibile all’indirizzo URL: https://www.labiennale.org/it/news/biennale-arte-2024-stranieri-ovunque-foreigners-everywhere.

4,8 Estratto di un’intervista scritta dell’autrice con Claire Fontaine, marzo 2023 (traduzione mia).

5 Letizia Ragaglia, »M-A-C-C-H-I-N-A-Z-I-O-N-I«, in: Claire Fontaine. Foreigners Everywhere, MUSEION Bozen | Bolzano (ed.), Cologna: Verlag der Buchhandlung Walther König, 2012, p. 10 (traduzione mia).

6 Passaggio ripreso dal comunicato stampa della mostra e tratto da Become a Sea, in: Andrew Harvey, Teachings of Rumi, Boston: Shambha­la, 1999 (traduzione mia).

7 Estratto del comunicato stampa della mostra Become a Sea, dicembre 2023 (traduzione mia).

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