Autore: Valerio Dehò
Il lavoro dell’artista francese che vive e lavora in Toscana da una decina di anni, si sta affermando nel mondo dell’arte contemporanea per le sue caratteristiche particolari che riflettono soltanto la personalità dell’artista che produce un’arte lontana da mode e accademie. Henri Beaufour ha studiato arte e storia dell’arte negli Stati Uniti e in Europa e ha deciso di stabilizzarsi a Pietrasanta con il suo atelier per essere vicino alla materia che lo aveva sempre affascinato nella sua propensione alla scultura, cioè il marmo. La sua ricerca è autonoma, anche solitaria, nel solco di una tradizione rivisitata in chiave assolutamente personale e con originalità con straordinaria convinzione.
L’incontro con i differenti materiali e la sua idea di scavare nel fondo delle immagini, sono parte di un dialogo interiore che conduce alla profondità del vedere e del rappresentare. Del resto, la figurazione come orizzonte della realtà in Henri Beaufour è sempre in sospeso di tramutarsi in qualcosa d’altro, cioè possiede in sé la natura della metamorfosi. La sua potente ricerca dell’espressione lo ha sempre portato ad agire di istinto, quell’istinto che può essere compulsivo nel tentativo raggiungimento di una definizione della forma.
Il percorso nell’arte di Henri Beaufour è cominciato con la scultura e con l’incisione, e con materiali duri, difficili come il marmo che riesce ad »addomesticare« estraendone forme inconsuete, nuove, potenti. Ma cosa cerca? Probabilmente una visione del mondo, cerca l’uomo che ha visto riflesso nei volti che ha conosciuto o solo intravisto per breve tempo. Beaufour mette sempre insieme realtà e immaginazione, sguardo diretto alla quotidianità e immagini e temi letterari. Forse quello che insegue nelle centinaia di ritratti che ha realizzato non è l’uomo o la donna ideale, ma la moltitudine, la diversità. Anche la sua pittura è uno scavo continuo, i colori scolpiscono la silhouette, una testa, una figura. La forma emerge ancora una volta dalla materia, ogni viaggio nella materia diventa una nuova immagine, in un feedback continuo.
Nella serie delle teste in marmo o degli animali, sembra di rivivere l’emozione per l’arte romanica, quella descritta da Jurgis Baltrušaitis nel suo insostituibile »Medioevo fantastico«, così come nei volti umani deformati dalla tensione, tornano alla memoria le »teste di carattere« del Franz Xaver Messerschmidt che le realizzò nella seconda metà del Settecento.
Vi è qualcosa di profondamente »classico« nelle opere di Henri Beaufour. Anche nei ritratti immaginari o di persone reali si avverte la tensione tra il rappresentare e la potenza dell’espressione. Ma non si tratta di indurre in studi psicologici, per l’artista è sempre importante trovare il modo di esprimere quello che vede, ha visto o che appartiene alla sua immaginazione. Il suo è un operare dentro l’abisso della creatività; il disegno e la pittura riflettono la sua sensibilità nel manipolare la materia per farla uscire dal silenzio.
Anche nella pittura Henri Beaufour sviluppa quel senso »tattile« che è proprio della grande arte. Questo concetto nato agli inizi del secolo scorso, viene così descritto Bernard Berenson, celebre storico dell’arte americano trapiantato a Firenze, che lo aveva teorizzato: »I valori tattili si trovano nelle rappresentazioni di oggetti solidi allorché questi non sono semplicemente imitati (non importa con quanta veridicità) ma presentati in un modo che stimola l’immaginazione a sentirne il volume, rendersi conto della loro resistenza potenziale, misurare la loro distanza, e che ci incoraggia, sempre nell’immaginazione, a metterci in stretto contatto con essi, ad afferrarli, abbracciarli o girar loro intorno.«La forma emerge ancora una volta dalla materia, ogni nuova opera è una visione differente.
Il tema di questa mostra veneziana è una lunga galleria di personaggi reali o inventati, presi dalla letteratura o dalla mitologia. L’artista francese ha sempre preferito il ritratto ad altri temi, la rappresentazione del volto per lui è l’inizio di un percorso attraverso le personalità e le tipologie umane. Questa idea di andare in fondo alla visione mette insieme l’osservazione attenta della realtà con quella della propria memoria e del proprio vasto retroterra culturale. Beaufour è un artista colto anche se la sua arte è spesso dura, non »bella« o gradevolmente borghese. Raggiunge un’espressività artistica libera, senza vincoli di alcun tipo. È solitario nella sua ricerca che alterna toni fortemente drammatici a momenti di aperta ironia. Sia attraverso il marmo o il bronzo che con la pittura acrilica, le sue opere manifestano sempre una tensione verso la scoperta di qualcosa di inatteso. Ma il trait d’union tra i linguaggi sono forse le incisioni che sono di rara bellezza e profondità. Le opere nascono da un’idea o da un’occasione che si confronta continuamente con i materiali. L’artista compie ogni volta uno sforzo fisico e psicologico per andare oltre la realtà, in una dimensione estetica e creativa che non lo fa assomigliare a nessun altro artista.
Per questo è anche difficile definire in base alle tendenze artistiche consolidate il suo stile, la sua poetica. Anche se possiamo affermare che il suo è un espressionismo barocco, costruito sulla ricerca di qualcosa che appartiene al suo desiderio di espressione, di far venire alla luce sentimenti e visione della vita. Inoltre, non è trascurabile l’ironia, il mescolare arte alta e bassa, citazioni raffinate e mondo ordinario. Il risultato è quello di un’arte complessa, di una pittura spesso »graffiata«, o di una scultura tormentata, grottesca e drammatica nello stesso tempo. Beaufour riserva sempre sorprese a chi cerca di leggere univocamente le sue opere. Non vi è alcun lirismo nei ritratti, con i soggetti sistemati in genere di profilo o in una debole posizione semi rotatoria come se cercassero una provvisoria eternità almeno sulla tela o sulla carta.
Non vi è nessuna prospettiva perché lo spazio è mero pretesto e non vi sono appelli ai sentimenti o a sentimentalismi gratuiti. La sua ricerca è fondata anche sulla ripetizione, sull’ossessività, è ricerca pura in cui la razionalità è costretta e inglobata nelle durezze della forma/materia. L’impossibilità della rappresentazione realista consiste nella volontà di non aderire interamente alla realtà perché l’intuizione di quello che si nasconde dietro le apparenze è forte e spinge sempre l’artista a costruire un proprio modello espressivo senza adattarsi semplicemente a illustrare la realtà o la memoria visiva. La gamma cromatica ha una vasta estensione e può andare dal grigio terreo al giallo limone, dal rosso al blu profondo, ma non hanno un valore simbolico e predeterminato: Beaufour aggiunge alla rapidità dell’esecuzione anche una revisione cromatico-gestuale profonda non hanno un valore e assecondano la ruvidezza dell’immagine. Non si cercano valori di verità né tanto meno di somiglianza, per cui una vena surreale e caricaturale può anche venir fuori come una conseguenza del lavoro sull’immagine destrutturata, libera dal peso della verosimiglianza.
»Portraits imaginaire« è una mostra in cui si aprono molte relazioni tra arte e letteratura, rappresenta le capacità artistiche di Henri Beaufour e anche la sua vasta cultura che non si arresta soltanto alla storia dell’arte. I referenti sono molteplici, uno dei più relativamente prossimi è la mostra di Pablo Picasso che nel 1967 realizzò una serie di opere dallo stesso titolo, in un mélange di intuizioni sospese in una terra fantastica ma concreta nello stesso tempo. Naturalmente anche in campo letterario vi sono riferimenti numerosi, anche se più alla lontana nel tempo, come la serie di racconti di Marcel Schwob di »Vite immaginarie« scritte alla fine dell’Ottocento, oppure i quasi coevi »Ritratti immaginari« di Walter Pater, letterato padre dell’Estetismo e inseguitore della Bellezza ovunque questa si nascondesse. Il lavoro di Henri Beaufour si presta a molteplici interpretazioni: dal comico al tragico, dal verosimile al fantastico. La stessa complessità linguistica in cui si esprime la propria poetica, il suo lavoro tra incisione, pittura e scultura, costruisce e definisce un’idea di arte sospesa tra reale e immaginario, una mise en abîme senza compromessi tra visionarietà e ossessione. E al centro vi è sempre l’uomo, il ritratto, deformato da una tensione espressiva di potenza eccelsa, di una carica di energia visiva da grande arte.